di Alessandra Cappelletti pubblicato il 20/04/17
Budapest e Xian non sono mai state così vicine. Il nuovo treno merci che, da questo mese, collega il capoluogo della provincia dello Shaanxi, nella Cina del nord-ovest, alla capitale ungherese, porta con sé un cartellone con uno slogan: "collegamenti Europa-Cina”, in cinese zhongou banlie. È solo l'ultimo dei tanti binari che collegano oriente e occidente, tra i quali quello Yiwu-Madrid (10.000 km, il collegamento ferroviario più lungo del mondo), Chongqing-Duisburg e Chengdu-Rotterdam.
Attraverso il passo di Alatau, al confine tra la Regione Autonoma Uigura del Xinjiang e il Kazakhstan, il convoglio Xian-Budapest attraversa l'Asia Centrale passando per Kazakhstan, Russia, Bielorussia e Polonia, prima di raggiungere l'Ungheria. In soli 17 giorni il treno percorre 9300 chilometri, risparmiando 30 giorni rispetto ai preesistenti collegamenti ferroviari e marittimi, e trasporta principalmente capi d'abbigliamento, giocattoli e prodotti elettronici “made in Yiwu”.
Xian è collegata all'Europa attraverso l'Asia Centrale dal 2013, con 317 treni merci che periodicamente lasciano la prima capitale imperiale cinese risalente al III secolo a.C. Le carrozze ripercorrono le tracce della Via della Seta, che in realtà anticamente non era una sola via, ma un insieme di carovaniere, passi montani e sentieri lungo i quali merci, idee, religioni e filosofie viaggiavano e si incontravano, in una continua ibridazione di significati ed elementi simbolici. La Nuova Via della Seta - espressione utilizzata per definire il più importante progetto di politica estera cinese attuale - lanciato dal Presidente cinese Xi Jinping nel 2013 in occasione di un discorso pronunciato alla Nazarbayev University nella capitale del Kazakhstan Astana – è un concetto alquanto diverso, che tuttavia ricorda quella storia di scambi e che, comunque, se ne ammanta.
Progetto di politica estera al top dell'agenda dell'attuale leadership cinese, Yidai yilu, letteralmente “Una cintura e una via”, è stato inizialmente tradotto in inglese con “One Belt One Road”, mentre di recente il Central Compilation and Translation Bureau (CCTB) ne ha rivisto la traduzione in “Belt and Road Initiative” (BRI). La precedente espressione One Belt One Road, sebbene considerata più suggestiva, poteva lasciare spazio a fraintendimenti: non si tratta infatti semplicemente di due percorsi distinti, uno terrestre (belt) e uno marittimo (road) – come molti paesi partner rischiavano di intendere -, ma di un reticolo di collegamenti intermodali concepiti e realizzati per trasportare merci nel modo più veloce ed economico possibile. Il progetto è “aperto”, apparentemente nessuno è escluso, e anche paesi che non rientrano nel tracciato dell'antica Via della Seta, come gli Stati Uniti, sono stati più volte avvicinati e invitati a partecipare e a collaborare.
Quella cinese non è l'unica proposta volta a collegare Europa e Asia: la Corea del Sud ha la sua “Eurasia Initiative”, finalizzata a creare un network logistico ed energetico attraverso la Corea del Nord, la Russia e l'Asia Centrale, per raggiungere l'Europa. Strategicamente in opposizione con la BRI, questa iniziativa è attualmente ferma a causa dell'instabilità politica dovuta all'impeachment della Presidente Park Geun-hye. Un'analoga iniziativa giapponese, chiamata “Expanded Partnership for Quality Infrastructure”, annunciata dal premier Shinzo Abe nel maggio del 2016 e anch'essa volta a creare un network di infrastrutture a livello globale che supporti la crescita economica nazionale nonché quella dei paesi partner, sembra più concreta.
Con 200 miliardi di dollari già stanziati, da spendere nei prossimi 5 anni per progetti infrastrutturali, e con alcuni accordi già firmati nell'America del Sud, nei Caraibi e, recentemente, in Vietnam, il progetto nipponico sembra essere una potenziale sfida alla BRI. Con alcuni punti deboli che possono depotenziarne l'impatto: una scarsa attenzione al “marketing” (a cominciare dal nome); una certa confusione nella sua parte gestionale (troppi dipartimenti governativi coinvolti, senza ruoli chiari); l'assenza di istituzioni finanziarie ad hoc (il progetto ha come braccio finanziario la già esistente Asian Development Bank, mentre la leadership cinese ha appositamente creato la Asian Infrastructure Investment Bank e il Silk Road Fund).
A questo punto la BRI sembra non avere rivali. Ma qual è esattamente il significato, o l'insieme di significati, di questa iniziativa? Il trasporto di merci verso un'Europa dove i consumi stentano a riprendere a causa della crisi sembra non essere in realtà l'unico obiettivo. Certamente i mercati dell'Asia Centrale fanno gola agli esportatori cinesi, nonché i prodotti europei ai consumatori cinesi, ma il progetto sembra essere soprattutto un tentativo di ridefinire i rapporti di forza a livello globale, di bilanciare il potere statunitense cercando percorsi alternativi (per esempio l'Oceano Indiano attraverso il porto di Gwadar in Pakistan, alternativa al passaggio delle merci attraverso lo Stretto di Malacca dove preoccupa la pirateria ed è forte l'influenza americana), di presentarsi al mondo con un volto nuovo e amichevole, come un paese che affronta l'attuale crisi economica globale dando un contributo di crescita e sviluppo, di lasciarsi alle spalle un passato politico turbolento e violento per aprirsi al futuro.
All'attuale stato dei lavori, possiamo dire che le cose stiano veramente così? Cosa sta proponendo veramente la Cina, a livello teorico, diplomatico, operativo, concettuale, con la BRI? E cosa stanno facendo gli altri paesi per coglierne le opportunità o contrastarne lo sviluppo? Quale ruolo gioca l'amministrazione Trump nella continua ridefinizione dell'intero progetto?
Questo articolo è il primo di una serie dedicata alla Belt and Road Initiative