Trump, Xi e il mondo multicentrico

di Franco Mazzei pubblicato il 06/04/17

La prima cosa che viene in mente all'osservatore dell'incontro tra i presidenti delle due maggiori economie mondiali in corso nella tenuta di Mar-a-Lago, in Florida, è che i due leader si presentano a questo appuntamento a ruoli, per così dire, invertiti: Xi Jinping come difensore della globalizzazione capitalistica e dell'economia verde, delle forze centrifughe che tendono all'apertura e all'inclusione; al contrario, Trump veste i panni del paladino del protezionismo e delle forze centripete prodotte dai singoli Stati che spingono alla chiusura, all'esclusione. Indubbiamente, si tratta di un avvenimento estremamente importante, perché è il primo incontro, seppur informale, tra i leader dell'attuale amministrazione statunitense e quelli della Cina, paesi che insieme producono più del 40% del Pil mondiale): un incontro che potrebbe indicare le traiettorie della politica mondiale dei prossimi decenni.

SOGNO CINESE VS AMERICA FIRST 

In effetti, questo vertice potrebbe darci utili indicazioni, specie su un tema particolarmente dibattuto dagli analisti: in che misura la politica di Trump, che ha come motto "America first" - e che si concretizza in protezionismo, bilateralismo ed isolazionismo in politica estera - sarà condizionata non solo dai vincoli interni (gli efficaci check and balance del complesso sistema politico americano, come abbiamo avuto modo di rilevare dalla cronaca politica di questi ultimi mesi) ma anche da vincoli esterni derivanti dalla nuova struttura del sistema internazionale, che non è più solo multipolare, ma anche multicentrica, a causa soprattutto della "transizione" del potere da Occidente a Oriente (segnatamente da Washington a Pechino). Questo multicentrismo implica che oggi nessuna potenza è in grado di esercitare l'egemonia a livello globale. Sotto questo aspetto, il Vertice in corso può essere visto come un test di verifica degli effettivi obiettivi di politica estera del nuovo presidente degli Stati Uniti.


Come più volte dichiarato, Trump ha come obiettivo primario abbattere il gigantesco debito commerciale accumulato; e a questo fine ha già messo sotto stress non solo la Cina e l'Europa nel suo insieme, ma anche singole economie fra cui la Germania e l'Italia, come pure il Messico e la Corea del sud. Più in generale, la politica estera di Trump, oltre a essere protezionistica e bilateralistica, ha abbandonato la prudenza propria del realismo di Obama, diventando assertiva e, talvolta, perfino minacciosa. Preoccupa in particolare questo atteggiamento nei confronti della Cina, anche perché anch'essa, dal 2012 con l'avvento al potere della cosiddetta "Quinta generazione" rappresentata appunto da Xi, ha abbandonato il gradualismo e la pratica del basso profilo raccomandati da Deng Xiaoping e scrupolosamente perseguiti dai suoi successori. Come è noto, Xi è un leader decisionista che gode di grande potere sia nel Partito Comunista sia nell'Esercito Popolare di Liberazione (i due pilastri del sistema politico cinese) e che ha per motto "Il sogno cinese". Semplificando, questo "sogno" consiste nel far della Cina una grande potenza diversa ma anche "migliore" rispetto a quelle occidentali, giacché - secondo la tradizione confuciana - l'approccio con l'Altro è basato sulla "armonia" e non sull'assimilazione (o sottomissione), né tantomeno sul conflitto.

SE TRA ISOLAZIONISMO E INTERVENTISMO A PREVALERE È IL CAOS

E non manca chi paventa una nuova "Guerra fredda" di Washington con Pechino. A mio parere, più verosimile è invece un negoziato "tough", duro, muscolare ma auspicabilmente costruttivo. In ogni caso, al termine del Vertice potremo avere qualche elemento ulteriore per dare una risposta al cruciale tema del rapporto tra le due Grandi Potenze. In particolare, significativi elementi chiarificatori sulla nebulosa e contraddittoria geostrategia di Trump si potranno avere da come si snoderà il dibattito sulla questione nord-coreana. Detto in breve, potranno emergere indicazioni per capire se Trump intenda realmente – come egli ha più volte affermato - abbandonare la strategia di Obama, nota come "Pivot to Asia", secondo la quale gli USA dovrebbero spostare il proprio asse geostrategico dal Medio all'Estremo Oriente per potere continuare a essere i "bilanciatori esterni" nel Pacifico Occidentale.

In altre parole, gli USA dovrebbero "controbilanciare" la Repubblica popolare cinese in ascesa anche militarmente, con la collaborazione dei paesi amici e in primo luogo del Giappone (che nel frattempo ha rafforzato la sua alleanza con Washington e ha interpretato in modo più permissivo la clausola pacifista dell'articolo 9 della Costituzione). In realtà, oggi quest'area, oltre ad essere la regione economicamente più dinamica del Pianeta, è anche la più militarizzata, con numerosi flash-point e preoccupanti tensioni interstatali, specie tra Tokyo e Pechino, ove le ferite della Guerra non sono ancora rimarginate e, soprattutto, la memoria del passato stenta a passare.


Nella confusa politica di Trump, colpisce in modo particolare la contraddizione tra l'impostazione sostanzialmente isolazionistica (un misto di bilateralismo e protezionismo) in economia con l'introduzione di pesanti barriere doganali), e l'approccio interventista in campo geopolitico, esplicitato con il dossier nord-coreano. Recentemente Trump ha dchiairato che o la Cina collabora con gli Stati Uniti a convincere la Corea del nord ad abbandonare il suo programma missilistico-nucleare, oppure Washington è pronta a risolvere la questione con azioni unilaterali.

Una posizione quella di Trump che preoccupa l'opinione pubblica mondiale su entrambi fronti, quello commerciale e quello geopolitico. Da sottolineare, tuttavia, che Xi non sembra impressionato da quest'approccio muscolare. Per quanto riguarda il primo fronte, Pechino, peraltro desiderosa di diventare rule-maker partecipando alle ridefinizione delle regole dell'economia mondiale, da tempo è all'opera per trovare soluzioni alternative alle dichiarazioni protezionistiche di Trump (una regolamentazione dei reciproci investimenti potrebbe essere un utile terreno d'incontro). Sul fronte geopolitico, da parte cinese si ritiene impraticabile l'opzione militare, per quanto riguarda specificamente la strategia di briunkmnanship seguita dalla Corea del Nord.

Su un punto i due leader sembrano concordare: il vertice non sarà affatto "facile". Non ci resta che aspettare.