L'alternativa cinese alla Silicon Valley

di Francesca Cocco pubblicato il 05/08/17




 


Da alcuni anni lo startup di impresa è entrato a far parte delle priorità delle politiche economiche italiane, sia per sanare quel gap di dinamismo imprenditoriale e innovativo rispetto ai modelli europei e a quello americano, sia perché il mondo delle startup viene percepito come un’opportunità per le fasce di giovani altamente qualificati che vedono nell’autoimprenditorialità una possibilità di emancipazione da un sistema occupazionale che non soddisfa le loro aspettative.
Secondo il rapporto del Ministero dello Sviluppo Economico sullo stato di attuazione e sull’impatto della policy a sostegno delle Startup e delle PMI innovative in Italia, il fenomeno continua a cresce velocemente, con un incremento di registrazioni nel 2017 del 41% rispetto all’anno precedente e della forza lavoro coinvolta pari al 47,5%. Di queste nuove realtà imprenditoriali ad alto tasso di innovazione, il 22,3% sono a prevalenza under 35, mentre per il 38,5% dei casi nella compagine societaria è presente almeno giovane.

Ma la questione fondamentale, sottolineano in molti, non riguarda il numero delle startup, ma la disponibilità di investimenti pubblici e privati, le politiche a sostegno dell’innovazione, il regime fiscale, l’apparato burocratico. Tra i modelli virtuosi, affianco alla Silicon Valley, alla Danimarca, Svezia e Israele, si sta facendo largo anche la Cina, che rientra a pieno titolo nella classifica dei Paesi più interessanti quanto a investimenti in startup e a strumenti messi in campo. Ne è la testimonianza la classifica 2017 dei nuovi “Unicorni” – le startup quotate più di un miliardo di dollari – che vede la Cina al secondo, terzo e quarto posto. E dall’Italia si inizia a guardare alla Cina non più solo per l’acquisizione di aziende nazionali in difficoltà, ma anche per la fase di scale-up internazionale.

Ne abbiamo parlato con Francesco Rossi, Francesco Lorenzini e Tommaso Ferruccio Camponeschi di Tech Silu, la società che ha lanciato insieme alla Camera di Commercio Italiana in Cina e ThinkInChina il progetto Italian Scale-Up Initiative in China (ISIC2017), che grazie al supporto di importanti partner come la Z-Innoway e Etihad, porterà a Pechino nel mese di settembre 3 startup italiane selezionate sulla base della sostenibilità del business model e soprattutto sulla scalabilità nel mercato cinese: la votazione è stata fatta dal Judging Panel composto da investitori e stakeholder locali.


Innovazione e imprenditorialità di massa sono due priorità del piano quinquennale cinese, declinate attraverso misure come il Talent Program e China 2025. Quali sono le principali caratteristiche dell’ecosistema dell’innovazione cinese, e in che misura sono visibili i primi risultati di questo sforzo programmatico per trasformare la Cina da potenza manifatturiera a potenza innovativa?


Tech Silu: “Chuàng Yè” (letteralmente “creare un lavoro”) in cinese è la parola che incarna il fenomeno dirompente dell’imprenditoria cinese, innovazione dal basso. La nuova imprenditoria cinese “è la manifestazione della volontà del Governo espressa attraverso il desiderio delle persone comuni” decanta il premier Li Keqiang, il leitmotiv dal 2015: una chiamata alle armi per quella che è stata definita “Imprenditoria ed Innovazione di Massa”, concetto chiave, evoluzione del famoso slogan anni 90 “Arricchirsi è glorioso!” di Deng Xiaoping, entrato a pieno titolo nell’agenda strategica del governo Cinese già dall’ultimo piano quinquennale insieme al China 2025.
Dal 1978 al 2010, l’economia cinese è stata protagonista di una crescita vertiginosa, che ha visto il PIL del paese crescere anche del 10% da un anno all’altro. A partire dal 2010, il paese ha assistito ad un rallentamento della crescita e nel 2016 il PIL era 6,9%, in linea con le politiche di governo, che puntano nei prossimi 5 anni a mantenere una crescita annuale compresa tra i seguenti valori: 6.5%-7%.

Questo riposizionamento nella curva di crescita economica (anche se nel 2017 è tornato di nuovo crescere) è il risultato di un voluto quanto atteso focus sullo sviluppo e la produzione di tecnologie di una Cina che abbandona modelli occidentali prestampati per creare innovazione partendo dalle proprie caratteristiche in termini di utenza, cultura e business.
I due pilastri fondamentali creati ad hoc per lo scopo sono appunto: MiC2025 e Talent Program. Il primo è stato lanciato nel 2015 per concretizzare un cambiamento strutturale in chiave industriale, il paese di mezzo punterà su focus e sviluppo di 10 settori chiave. Il secondo consiste nell’attrazione di talenti stranieri, in possesso di una laurea magistrale o impegnati in un dottorato di ricerca con lo scopo di favorire l’interscambio culturale, l’innovazione nell’ambito dell’insegnamento e della ricerca: il programma li colloca, infatti, come insegnanti ed assistenti nelle premiere università cinesi, a fianco di professori ed entourage di ricerca di altrettanto rilievo.
Nel 2014, la Cina ha avviato una campagna governativa per sostenere e supportare l’innovazione e l’imprenditorialità, assistendo di conseguenza alla nascita di numerosissime startup, impegnate principalmente nei settori dell’High-tech e dell’Internet Plus, ossia: mobile Internet, cloud computing, big data e Internet of Things ( 4 milioni il numero di imprese registrate ed un altrettanto grande numero di incubatori/acceleratori per startup attive nell’high-tech).

La politica del “Go Global” segna quindi il 2014, definito l’anno d’oro per gli investimenti cinesi outbound con focus in particolare nei settori del tessile, del manifatturiero e delle componenti elettroniche; tra i settori di interesse strategico che la Cina ha individuato come trend in cui investire: Arte e Cultura, Film e Media, Videogames.
Una Cina che innova, in definitiva, che si getta con forza alle spalle vecchie definizioni, stereotipi e crescite di PIL vertiginose in favore di nuovi modelli New Normal incentrati sulla crescita e sulla prosperità di una propria cultura d’impresa. Una Cina ed i suoi imprenditori che oggi siedono al tavolo dei global innovators insieme ad Usa, India e Europa e che in molti casi, e in molti settori del futuro (la corsa alle selfdriving car per esempio, dove Baidu sembra essere quasi al traguardo), dettano la via da cui si può imparare molto in termini di similarità con la nuova cultura startup italiana e di sinergie che possono nascere tra le eccellenze dei due ecosistemi.


Quali sono le città a cui una startup straniera può guardare per avere facile accesso a un network di investitori e partner, oltre che a un contesto stimolante e accogliente?

Tech Silu: In Cina vi sono quattro elementi che stanno contribuendo ad accelerare il processo di innovazione delle imprese, rendendo il paese attrattivo per le startup di tutto il mondo: la forte presenza di iniziative governative, la grandezza del mercato interno, il processo di trasformazione verso l’economia di mercato e l’abbondanza di capitali.
In linea con il modello di sviluppo disegnato dal governo cinese per gli ultimi anni, nel 2016 sono stati investiti in Cina oltre 31 miliardi di USD in venture capital, con una crescita dell’17% rispetto all’anno precedente ( 26 Miliardi USD ) e un numero di deal pari a 600, ma l’elemento che più ha caratterizzato l’andamento degli investimenti in startup in Cina è stata la crescita dei round di Serie C con un valore compreso tra i 60 e i 90 milioni di USD per deal. Questi round rappresentano oggi il 16% del totale mentre la parte maggiore è rappresentata dal 32% di Serie A (15-40 milioni) e dal 33% di round Serie B (25-80 milioni).

Gli investimenti in Asia stanno cambiando il loro focus passando lentamente ma progressivamente dal O2O degli anni precedenti a settori/startup nell’ AI, Robotics, Big Data, Education, Health Care nel 2016.
In Cina, i settori industriali maggiormente finanziati nel 2017 sono quelli legati a Internet Plus, all’Healthcare e al Greentech.
L’importanza strategica che il governo da’ all’imprenditorialità domestica e all’innovazione su scala internazionale è tale da indurre le singole provincie a lanciare fondi in competizione tra di loro come quello da 81 Miliardi di USD lanciato nel 2016 dal governo provinciale dell’Hubei, fondo guidato da Sequoia Capital e CBC Capital.
Per quanto riguarda le singole città cinesi a cui una startup può guardare, occorre fare una distinzione di settori.
Beijing è sicuramente la piazza principale, dove si concentra circa il 70% dei fondi VC cinesi. In termini dimensionali e settoriali: nel 2016 si sono registrati nella capitale cinese 31 deal per un totale di 1,9 miliardi di USD, nei settori dell’ AI, Robotica, Healthcare.

Shanghai, particolarmente attiva nei settori dei beni di consumo, Fashion e grande piazza per il Fintech, ha registrato nel 2016 circa 20 deal, per un totale di quasi 610 milioni di USD. Dato l’elevato livello congenito di internazionalizzazione, le numerose agevolazioni fiscali e una distanza culturale minore rispetto alle altre grandi città cinesi, l’ecosistema imprenditoriale di Shanghai risulta più facile da vivere e quindi terreno attrattivo per le startup estere, ma conseguentemente maggiormente competitivo.
Hangzhou, città capoluogo del Zhejiang nonché patria di Alibaba, ha visto sorgere negli ultimi anni numerose startup attive nei settori dell’hardware, internet company, dell’e-commerce e dell’high tech, registrando nel 2016 4 deals per un valore complessivo di 127 milioni di USD.

Shenzhen è l’hub più interessante per le hardware companies, e sta registrando una continua crescita degli investimenti VC in quelle che vengono definite Startup Innovative.
Chengdu, nel Sichuan, negli ultimi anni è sulla strada per diventare un affermato centro d’innovazione nel settore digital health, life science e dello sviluppo high-tech: una città in continua evoluzione grazie anche alla presenza di incubatori internazionali.
Guangzhou e Chongqing sono piazze emergenti che puntano a settori specifici, come smart cities/building, energie rinnovabili e greentech, in base all’intreccio tra gli interessi del governo locale ed il tessuto economico dell’area.
Hong Kong, fuori dalla mainland, è considerata la patria del Fintech. La sua vicinanza con Shenzhen, inoltre, permette alle imprese e alle startup di Hong Kong di avere rapido e facile accesso al mercato di Shenzhen. Recentemente si è tuttavia registrato ad Hong Kong una sensibile diminuzione di capitali VC, nonostante la grande disponibilità di capitali nell’area, che va ad aggiungersi ad una sempre più complicata profilassi per le aziende straniere che vogliono costituire una sede ad Hong Kong.

In generale, la Cina risulta un mercato di riferimento per la maggior parte dei settori tech che si stanno sviluppando negli ultimi anni in tutto il mondo, ed è in particolar modo attraente per le startup attive nel settore digitale: il 2016 ha registrato un totale di 731 milioni di utenti internet, con un aumento rispetto al 2015 del 6,2%, equivalente a 42,99 milioni di utenti in più in un anno; oltre la metà della popolazione cinese ha oggi accesso al web (53,2%) e il 27% degli utenti internet, equivalente a 201 milioni di persone, risiede nelle aree rurali; circa la metà della popolazione cinese, ovvero 659 milioni di persone, accede a Internet attraverso dispositivi mobili, con un tasso di crescita annuo di oltre il 10%; nel 2016, 469 milioni di persone hanno effettuato pagamenti online usando gli smartphone, il 31,2% in più rispetto all’anno precedente. Su quest’ultima affermazione possiamo andare ancora più nel concreto del fenomeno del credito sociale: nelle metropoli cinesi la percentuale di popolazione che utilizza app di pagamento mobile, WeChat e Alipay per citare la numero uno e due del settore, raggiunge il 90% con una crescita del 450% ed un ammontare pagato tramite mobile di circa 5,5 trilioni di USD solo nel 2016. (l’equivalente di 50 volte il valore dell’intero mercato americano).
Tutti questi dati in crescita fanno sì che la Cina sia un enorme singolo mercato di riferimento e desiderato obiettivo per le startup straniere, soprattutto nostrane, attive nel mondo digitale.



 

Quali sono le caratteristiche degli investimenti cinesi in startup straniere? Che tipologia di startup sono ricercate? E quali sono le esperienze di successo di scale-up italiano o europeo in Cina?


Tech Silu: La Cina sta attraversando una fase di transizione: il governo vuole liberare il paese dalla fama di fabbrica del mondo, passando dal “made in China” al “designed in China”, porre al centro dello sviluppo il concetto di qualità e non più quantità. Gli investimenti cinesi in startup straniere, in linea con le nuove politiche di governo, sono caratterizzati dalla ricerca di startup che devono avere una tecnologia proprietaria, protetta e difficilmente copiabile nel breve periodo.

I settori di riferimento per gli investimenti cinesi in startup straniere, devono essere il risultato di un’equazione che unisce e collega i settori considerati strategici dal piano Made in China 2025, ovvero nuove tecnologie d’informazione, macchine CNC (computer a controllo numerico) e robotica, attrezzature aerospaziali, strumenti per l’ingegneria oceanica e imbarcazioni high-tech, materiale ferroviario, veicoli a risparmio energetico e a energia rinnovabile, elettronica di potenza, nuovi materiali, industria farmaceutica e apparecchiature mediche, macchinari agricoli, e i settori in cui ogni singolo paese è leader.
Guardando in particolare all’Italia, la Cina cerca quindi investimenti nei settori del fashion, del lifestyle, aerospace, machinery, robotica e biotech.

Esperienze di successo, siamo fiduciosi di poterne raccontare di belle per tutte quelle scaleup che seguono i nostri programmi, in primis tramite ISIC ed il programma permanente Chinalab : Progettato per garantire un lancio di successo in Cina, basato su approcci approfonditi e modulari, fornisce le informazioni fondamentali ed un supporto tecnico e pratico per coprire l'intero processo di business development in Cina personalizzando in maniera precisa le attività al fine di snellire l'ingresso sul mercato, generare una rapida espansione e ottenere un successo operativo.
Programmi che siamo quindi in grado di realizzare grazie alle conoscenze e all’intuito maturate durante esperienza sul campo, alla rete di incubatori, acceleratori, investitori e player locali con cui siamo in contatto e con cui collaboriamo ogni giorno.

Prima di Tech Silu, nessun’altra associazione o società aveva mai realizzato un programma simile che puntasse a mettere in luce i punti di forza delle startup e PMI straniere rendendoli sinergici all’interno del mercato cinese. Quest’ultime, da parte loro, guardavano al mercato cinese come ad una minaccia più che come ad una possibilità, prestando attenzione solamente a mercati tradizionali: se una startup era attiva nel settore dell’high tech, fino a qualche anno fa l’unica possibilità valida di espansione era verso gli States, verso la Silicon Valley.
Come Tech Silu, siamo sicuri che la Cina sia una valida e vincente alternativa per l’ecosistema startup europeo con un tradeoff rischio/beneficio non distante dall’America.

Le esperienze passate e presenti mostrano come diverse PMI italiane con grandi tecnologie e prodotti di qualità abbiano avuto enorme successo in Cina, così come tante altre siano rimaste scottate da un’esperienza negativa in questo grande mercato.

Non abbiamo di certo la presunzione di conoscere una formula magica, un modello giusto e perfetto per conquistare la Cina, ma sicuramente abbiamo le capacità, la persistenza e l’esperienza di lavorare su questo laboratorio per riuscirci, e ad oggi la direzione è quella buona.
il mercato cinese non è semplice e non è per tutti, ma statisticamente, se si riesce a superare le prime inerzie e le sfide che comportano l’atterraggio in questo enorme mercato, si guadagna facilmente indietro almeno un 40% di revenue globali.


Di cosa ritiene abbia bisogno una startup italiana per stare sul mercato cinese, e come opera in questo senso ISIC per supportarle?


Tech Silu: La Cina è un mercato enorme e in continua crescita, che richiede competenze e capacità per riuscire a rimanere al passo di un’innovazione incalzante e continua.
Per stare sul mercato cinese, una startup italiana ha bisogno di una tecnologia proprietaria, protetta e difficilmente imitabile nel breve-medio periodo; il modello di business deve essere pronto, convalidato e adattabile al mercato cinese.

La preparazione di una startup che vuole sfondare nel mercato cinese non deve essere efficiente solo a livello economico, ma l’imprenditore che intende conquistare il mercato cinese, deve conoscere la cultura e la lingua di riferimento che dettano le basi del business behaviour e conseguentemente del successo della startup stessa; deve avere una grande capacità di adattamento e resilienza in un ecosistema diverso da quello italiano, con annessa elasticità per rispondere alle esigenze e ai gusti di un consumatore lontano e diverso; deve essere in grado di creare rapporti solidi e duraturi con partners e player locali, di alimentare le cosiddette guanxi.

ISIC2017 (Italian Scaleup Initiative in China) nasce anche dalla mission che è alla base di ChinaLab : sviluppare nuove e dirompenti sinergie all’interno dell’Ecosistema Startup Sino- Italiano tramite programmi cross-border, match-making e soft-landing che puntano a generare un impatto positivo e a rendere la crescita delle imprese innovative italiane in Cina concreta e scalabile,
ISIC è quindi funzionale al nostro programma Chinalab, ne è una vetrina, sia per far conoscere il tech italiano, sia per avvicinare il tech italiano al mercato cinese. L’approccio di ISIC è quello di Chinalab: hand-on e e con l’obiettivo di portare risultati concreti.



Francesca Cocco è Partner Innovazione di Knowledge for Business



Rif.: https://home.kpmg.com/cn/en/home/news-media/press-releases/2017/01/vc-investments-record-high-artificial-intelligence.html
http://news.iresearch.cn/content/2017/05/268124.shtml
https://www.nytimes.com/2017/07/16/business/china-cash-smartphone-payments.html?nytapp=true&lipi=urn%3Ali%3Apage%3Ad_flagship3_feed%3Bh8vV8EUeQ0K55ggkeITmsA%3D%3D