di Michelangelo Cocco pubblicato il 05/08/24
Se, in seguito alla prima visita ufficiale di Giorgia Meloni in Cina (28-31 luglio 2024) le ralazioni Roma-Pechino saranno effettivamente rilanciate, potremo valutarlo soltanto nei prossimi mesi. Le intese siglate in occasione degli incontri che la presidente del Consiglio ha avuto con i vertici del Partito comunista cinese (il presidente Xi Jinping, il premier Li Qiang, il presidente dell'Assemblea nazionale del popolo Zhao Leji, il segretario del Pcc a Shanghai Chen Jining) andranno infatti riempite di contenuti, concretizzate con i relativi follow-up.
Quello che è chiaro è che, ricucito lo strappo del rifiuto di rinnovare il memorandum sulla nuova via della Seta sottoscritto nel 2019 dal Conte I - una decisione politica della stessa Meloni -, da entrambe le parti, per esigenze diverse ma potenzialmente convergenti, si è manifestata l'intenzione di approfondire i rapporti bilaterali. Nell'alimentare i quali, il governo italiano è interessato pricipalmente alla loro dimesione economico-commerciale, mentre quello cinese guarda soprattutto alle loro possibili ricadute geopolitiche.
Nella Grande sala del popolo di piazza Tiananmen la presidente del Consiglio ha presenziato al Business Forum Italia-Cina (28-29 luglio), organizzato dal ministero degli Esteri, con la partecipazione, tra gli altri, di Confindustria e dell’Agenzia ICE. È stata l’occasione per avanzare le proposte italiane alla presenza del premier Li Qiang.
Il governo Meloni punta essenzialmente a due obiettivi:
attirare investimenti cinesi per sostenere la crescita in Italia (a Pechino Meloni ha sottolineato che all’entità degli investimenti italiani in Cina non corrispondono in Italia capitali produttivi cinesi altrettanto rilevanti);
Nell'attuale fase di contrapposizione con gli Stati Uniti e con l'Unione Europea, Pechino è interessata alla capacità dei governi "sovranisti" di frenare le iniziative di Bruxelles, in particolare le politiche di "de-risking" (di riduzione delle dipendenze dalla Cina) varate dalla Commissione Ue presideuta da Ursula von der Leyen in coordinamento con Washington.
Non a caso il Quotidiano del popolo ha evidenziato che:
«la parte italiana e l'Ue dovrebbero riconoscere che il mantenimento di relazioni stabili e di reciproca fiducia con la Cina serve i loro interessi e contribuisce alla prosperità e alla pace globali. L'Italia può svolgere un ruolo cruciale nel coltivare queste relazioni di cooperazione tra Cina ed Europa».
La strategia di Pechino è quella di depotenziare le politiche di “de-risking”. E proprio in quest’ottica l’Italia a caccia di investimenti produttivi, in un'Ue politicamente più frammentata dopo il voto del 6-9 giugno scorso e con Meloni che ha votato contro la rielezione di von der Leyen, può tornarle "utile" a Pechino.
I media governativi cinesi hanno sostenuto che «il progresso economico dell’Ue è strettamente legato a quello della Cina» ed è per questo che «il de-risking dell’Ue suscita divisioni e si trova di fronte a un dilemma, con opinioni diverse tra i suoi stati membri a causa di interessi diversi».
Per sostituire il memorandum sulla via della Seta Meloni ha rispolverato il berlusconiano "Partenariato strategico globale" come il piano d’azione triennale per il rafforzamento del partenariato strategico Italia-Cina e il memorandum appena sottoscritto tra il ministero dell’industria e del made in Italy e il ministero dell’industria e dell’informatica di Pechino rappresentano delle indicazioni di massima sulle politiche da intraprendere.
Nel suo intervento al Business Forum Meloni ha sottolineato la necessità di:
«tenere presente l’esigenza della proporzionalità, per fare sì che gli strumenti di difesa economica siano commisurati al reale livello di rischio e non producano una compressione involontaria della libertà economica e commerciale anche internazionale, principio che è tratto distintivo di una democrazia come l’Italia e di una società aperta come la nostra».
«La nostra nazione chiaramente resta desiderosa di cooperare. È ovviamente fondamentale per noi che i nostri partner si dimostrino genuinamente cooperativi, che giochino secondo le regole per assicurare che tutte le aziende possano operare sui mercati internazionali in condizione di parità, perché se vogliamo un mercato libero, quel mercato deve essere inevitabilmente anche equo». […]
«In molti settori, basti pensare al settore automobilistico, noi siamo tra le poche nazioni che sono in grado di offrire una capacità di filiera: dal design alla componentisica, passando per la manifattura. È importante che anche il mondo imprenditoriale cinese sia cosciente dei vantaggi comparativi, delle regole del mercato italiano, di quanto sia oggi dinamico e aperto ai buoni investimenti, e anche sotto questo profilo c’è un importante lavoro che ci piacerebbe fare insieme, che stiamo cercando di fare insieme finalizzato al riequilibrio degli investimenti».
Il braccio di ferro sui nuovi dazi dell’Unione Europea sulle auto elettriche importate dalla Cina è tuttora in corso. Secondo quanto riportato dalla Reuters l’Italia ha votato “sì” agli aumenti provvisori (fino al 37,6 per cento) approvati il 4 luglio scorso. Ma la decisione definitiva in seno all’Ue verrà presa entro novembre. E, il giorno dell’arrivo a Pechino di Meloni, i media locali hanno sottolineato che, in vista di quell’appuntamento, «qualsiasi passo compiuto verso una comunicazione pragmatica sarebbe encomiabile e prezioso».
Nella visita a Pechino con la quale ha preceduto la sua collega di partito, il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, aveva dichiarato che l’Italia è aperta a una «soluzione negoziale», cioè a una riduzione di tali misure compensative, che un volta approvate definitivamente, resteranno in vigore cinque anni.
Per la Cina quella degli Ev è un’industria strategica, uno dei “tre nuovi” (assieme alle batterie e agli impianti fotovoltaici) che hanno sostituito sul podio dei principali prodotti di esportazione i “tre vecchi”, ovvero, abbigliamento, elettrodomestici, mobili.
L’Italia potrebbe rivelarsi decisiva, aggregandosi ai paesi contrari (Germania, Svezia, Finlandia), ai quali vanno aggiunti quelli “tiepidi”, e ridimensionando sostanzialmente la portata delle misure protezionistiche dell’Ue, sponsorizzate soprattutto dalla Francia e dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, con la quale Meloni è in rotta di collisione.
A proposito di un possibile investimento in Italia da parte di un produttore cinese di auto elettriche, Meloni ha dichiarato:
«Noi ci siamo limitati a definire accordi di cornice, poi non sta a noi entrare nel merito delle singole intese che si possono sviluppare, dei singoli investimenti. Il tema della mobilità elettrica è all'interno del nostro memorandum di collaborazione industriale, che è una delle intese più importanti che abbiamo sottoscritto. Ora saranno i tavoli tecnici e i ministri competenti a lavorare nello specifico sulla realizzazione di questa intesa».
A Pechino è piaciuta anche la notizia - riportata nei giorni scorsi da Bloomberg - secondo cui il ministro dell’economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, si è espresso contro eventuali «azioni unilaterali» del G7 che potrebbero ostacolare gli scambi globali, sottolineando la necessità di proteggere il commercio internazionale, «in particolare data l’enorme capacità industriale della Cina, anche in settori di importanza strategica». Una presa di posizione che il governativo Global Times ha interpretato come «un segnale positivo dell’impegno dell’Italia nel mantenere e rafforzare le relazioni economiche e commerciali con la Cina, riflettendo la sua pragmatica politica estera e strategia economica nell’era della globalizzazione e sottolineando il suo riconoscimento dell’importanza delle relazioni economiche Cina-Italia».