di Sara Berloto pubblicato il 07/07/20
Lo scorso 30 giugno è stata approvata la controversa Legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong che punisce i reati di eversione, secessione, terrorismo e collusione con forze straniere. Il 6 luglio, il governo di Pechino ha nominato Zheng Yanxiong come Direttore dell’Ufficio per la tutela delle sicurezza nazionale di Hong Kong. In questi giorni così concitati in cui si rincorrono le domande sul futuro e sulla sorte politica del Porto profumato, abbiamo avuto il piacere di dibattere della storia di Hong Kong e degli ultimi sviluppi con Jeffrey N. Wasserstrom, storico e docente presso l’Università della California (Irvine), autore del recentemente pubblicato Vigil: Hong Kong on the Brink.
Professor Wasserstrom, quali sono stati i principali punti di svolta della storia di Hong Kong tra il 1949 e il 1997?
Una cosa importante da tenere a mente riguardo alla storia moderna di Hong Kong è che alcune aree di quella che oggi è definita come Hong Kong furono concesse al Regno Unito come colonie tra la prima e la seconda guerra dell’oppio (tra questi vi era l’isola di Hong Kong e la penisola di Kowloon). Successivamente, altre aree sono divenute parte dell’impero britannico (del 1898) non come colonie ma tramite un contratto di concessione della durata di 99 anni. Stanti queste diverse realtà territoriali di cui si doveva tener conto, un momento chiave della negoziazione UK-RPC fu il 1984: Londra e Pechino, allora rappresentate da Margaret Thatcher e Deng Xiaoping, raggiunsero l’accordo sino-britannico, il quale prevedeva che nel 1997 HK sarebbe diventata parte della PRC ma avrebbe mantenuto un alto grado di autonomia nonché il suo stile di vita sui generis per un periodo di transizione di 50 anni (1997-2047). Così è nato il principio “Un Paese, due sistemi”.
Il 1990 è stato un secondo momento di svolta poiché ha visto la definizione della “Legge Fondamentale” di HK che ha quindi disciplinato formalmente le caratteristiche di questa regione amministrativa speciale (questo è peraltro lo stesso status che qualche anno più tardi, nel 1999, fu posto in essere anche a Macao nel suo passaggio di consegne dal Portogallo alla RPC).
A queste due date – il 1984 e il 1990 segue sicuramente la data del 1° luglio 1997, giorno in cui finì l’era della Hong Kong britannica e nacque la regione amministrativa speciale parte della Repubblica popolare cinese. E dal post-1997 altre date importanti hanno scandito la storia del Porto Profumato…
Nel suo ultimo libro - Vigil: Hong Kong on the Brink – descrive le cronache e gli eventi chiave delle proteste ad Hong Kong (fino a ottobre 2019): quali sono, a suo giudizio, le cause profonde delle proteste dello scorso anno?
Le più grandi proteste che hanno avuto luogo ad Hong Kong negli ultimi anni si sono contraddistinte per due componenti. La prima, quella di respingere ad ogni costo quello che gli hongkonghesi temevano potesse portare via o minare le loro libertà. La seconda, di espandere il grado di democrazia di cui godono e di cui beneficia HK. Quest’ultima componente si unisce al fatto che alcune regole della Basic Law – il sistema di leggi in essere ad Hong Kong – rimane particolarmente vaga nei suoi dettami. A questo riguardo, diffusa era l’idea, ad esempio, che negli anni gli abitanti di HK potessero eleggere democraticamente il proprio governatore (Chief executive). Il governatore, la figura politica più importante di HK, è in realtà eletto da poco più di 2.000 persone e il candidato deve essere approvato da Pechino. Ciclicamente, quindi, ci sono state proteste – la più grande è stata senza dubbio quella del 2014 – che chiedeva a gran voce che tale elezione venisse trasformata in una vera e propria elezione democratica.
Altre proteste, invece, sono avvenute quando gli hongkonghesi hanno ritenuto che Pechino stesse interferendo con le loro libertà. La prima e la più importante di queste proteste fu nel 2003, quando il governo locale propose una legge sulla sicurezza nazionale che gli abitanti di HK temettero minasse le loro libertà di parola e di associazione. In quel caso, le grandi e partecipate manifestazioni fecero ritirare il progetto di legge.
Le altre due ondate di proteste da ricordare sono quelle del 2012 e del 2019. Nel 2012, gli abitanti di HK scesero in piazza per protestare contro l’introduzione dell’educazione morale e nazionale nelle scuole. Come nel 2003, i manifestanti riuscirono a bloccare il progetto. Poi, le proteste più grandi sono state sicuramente quelle dello scorso anno. In quel caso, le proteste iniziarono per fermare una proposta di legge sull’estradizione che avrebbe reso più facile per Pechino processare nella Cina continentale persone di HK. Ognuno di tutti questi movimenti di protesta descritti, ed in particolare gli eventi a cui abbiamo assistito lo scorso anno, sono accomunati da un sentimento crescente di opposizione nei confronti della polizia e del comportamento che essa adotta nei confronti dei manifestanti.
In sintesi, possiamo dire che ad Hong Kong – oggi come qualche anno fa – tre sono i motivi principali che innescano e iniziano le manifestazioni e i moti di protesta:
(i) Specifica minaccia alle libertà locali;
(ii) Richiesta di maggiori diritti democratici;
(iii) Opposizione nei confronti delle violenza delle polizia.
Da un lato guardiamo alle recenti strette (legge sulla sicurezza in primis) visto l’avvicinarsi della scadenza del 2047, dall’altro assistiamo ad un movimento di protesta sempre più giovane…
Credo davvero che ci sia una forte connessione tra i giovani di tutto il mondo. I giovani di Hong Kong durante le proteste delle scorso anno erano molto consapevoli del movimento “Friday for Future” e della sua diffusione nel mondo. Nel 2014, si creò un collante tra i giovani manifestanti hongkonghesi e i manifestanti a Taiwan, che in quel caso scesero in piazza come segno di protesta nei confronti dell’establishment politico. Ritengo che le sensibilità dei giovani siano legate anche alla consapevolezza di quanti anni dovranno e temono di vivere in quel sistema. Per di più i giovani di oggi non hanno sentore di movimenti democratici nella Cina continentale. Chi ha vissuto più o meno attivamente il 1989 e le proteste per la democrazia avvenute negli anni di Piazza Tiananmen ha vissuto un’esperienza molto diversa e di comunanza di intenti anche con il resto della RPC. Oggi questo collante con la Cina continentale manca.
Cosa è cambiato durante e con l'epidemia Covid-19?
Il più grande cambiamento - prima dell’approvazione della legge sulle sicurezza dello scorso 30 giugno - avvenuto durante Covid è stata la decisione di proibire qualsiasi manifestazione lo scorso 4 giugno (giorno dell’anniversario di Piazza Tiananmen). Questo episodio è emblematico per comprendere quanto Pechino abbia utilizzato e stia utilizzando la pandemia per reprimere qualsiasi manifestazione di dissenso e per porre in essere delle strette in un momento dove l’attenzione internazionale è canalizzata dalla gestione dell’emergenza sanitaria tra i propri confini.
A mio avviso, per quanto riguarda l'idea di "Un Paese, due sistemi", al momento Pechino guarda con particolare attenzione e dedizione al solo lato “Un paese”. L’unica componente dei “due sistemi” che le autorità centrali sembrano disposte a consentire sono i due sistemi economici. Il modello sembra quindi essere quello di permettere ad HK di rimanere (parzialmente) economicamente diversa, assottigliando sempre più la differenza politica. Il Presidente Xi e altri membri della leadership cinese hanno più volte esplicitato che il modello a cui guardano è quello di Macao. Oggi e nell’immediato futuro, si vuole quindi rendere HK più simile a Macao e Macao via via più simile e assimilabile alla Cina continentale.
Nel mio libro parlo anche di come le proteste di HK muteranno a seguito di questi cambiamenti e diverranno delle sempre più delle vere e proprie proteste anti-coloniali. A dimostrazione di ciò nel libro analizzo come il Tibet e il Xinjiang siano stati entrambi trattati come colonie da Pechino e perché considerando questi modelli bisogna guardare anche all’Unione Sovietica e al suo sistema di stati satellite – stati separati formalmente ma non certo indipendenti.
La Cina è sempre più assertiva anche nelle sue relazioni con Taiwan?
Hong Kong e Taiwan sono storie interconnesse e confrontabili per molti motivi. Quando il principio “un paese, due sistemi” fu adottato a HK nel 1997, si pensò immediatamente che lo stesso modello sarebbe stato applicato, prima o poi, anche a Taiwan. Durante le citate proteste del 2014, i manifestanti spesso si riferivano a Taiwan dicendo che sarebbero stati presto nella loro stessa situazione e che dovevano agire in loro difesa. Per la storia peculiare di Taiwan, ci sono certamente ulteriori variabili in campo che bisogna considerare; prima fra tutte, il modo in cui il mondo e la comunità internazionale risponderanno alle strette e alle intrusioni di Pechino nei confronti dell’isola.
Sara Berloto è Junior Research Fellow presso la SDA Bocconi School of Management e Teaching Assistant presso l’Università Bocconi.