Oltre la Grande Muraglia

di Alberto Bradanini pubblicato il 06/12/18

Pubblichiamo di seguito alcuni estratti da “Oltre la Grande Muraglia. Uno sguardo sulla Cina che non ti aspetti”, il libro del presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea, Alberto Bradanini, edito da “Università Bocconi Editore”. Il volume è il frutto del lavoro e delle analisi dell’ex ambasciatore italiano a Pechino (2013-2015) e – per il suo focus sulla politica e sull’economia della Cina contemporanea – rappresenta un punto di riferimento per chi, come studenti o semplici appassionati, voglia avere un inquadramento puntuale su un fenomeno complesso come quello dell’ascesa della Cina, nonché una miniera di spunti per chi di Cina si occupa da anni per i più vari motivi professionali.
“Oltre la Grande Muraglia” può essere acquistato presso le librerie Feltrinelli o su Amazon.



“La Cina odierna genera allarme, persino paura, ma allo stesso tempo attrae fortemente. Come mai? Forse perché è antica, ma anche la Grecia è antica; forse perché è vasta, ma anche la Russia è vasta; forse perché è popolosa, ma l’India lo è altrettanto; forse perché la Cina è le tre cose insieme, o perché nei riguardi della Cina è viva ancor oggi una sorta di mitologia del mistero, una mitologia del resto in parte giustificata, poiché nell’inconscio occidentale quel paese conserva un’immagine di estraneità e di difficile accesso, quasi si trattasse di una creazione onirica. A quanto sopra si aggiungono poi altre due caratteristiche, quella di essere un paese-continente, per via delle sue dimensioni geografiche, e un paese-civiltà, in ragione della sua cultura millenaria”.

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“Quando si parla di Cina, emerge la tentazione di considerare fuori dalla norma ogni evento o condizione che la riguardi, attribuendo alle onnipresenti caratteristiche cinesi il compito di giustificare diversità, distorsioni o errori che hanno invece altre spiegazioni. Si tratta di una formula autoassolutoria, alla quale la dirigenza del paese non si fa scrupolo di ricorrere per giustificare escursioni ideologiche o scelte politiche altrimenti inammissibili”.

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“In Cina, più che altrove, cultura, società, democrazia, partecipazione – e termini affini – assumono significati diversi da quelli riportati nei dizionari. Il socialismo sulla carta è l’obiettivo finale, ma si tratta di quella inafferrabile nozione di socialismo dalle caratteristiche cinesi che la dirigenza non ha mai illustrato in forma chiara. Una sua leggibile decodificazione viene sempre rinviata, in attesa che la prassi si incarichi di metterne a punto, a posteriori, i contorni. Al massimo, il Partito lascia trapelare che in questa fase storica occorre far asciugare ogni residua goccia di dogmatismo”.

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“Diversamente dagli auspici di Francis Fukuyama, il Partito non ha alcuna intenzione di portare la Cina sulla strada di una democrazia liberale di stampo occidentale, nemmeno con gradualità o in un orizzonte lontano”.

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“La politica di Pechino appare antiegemonica, pacifica e insieme revisionista dell’ordine internazionale, e si muove sull’orizzonte lungo della storia. Non condivide la logica del Washington consensus, ma ne prende pazientemente atto, in attesa di tempi migliori, investendo con gradualità sulla crescita di aggregazioni alternative alle alleanze occidentali. Il suo corredo si basa su accordi trasversali con i paesi ai margini di quelle alleanze, su codici di comportamento, aiuti e pressioni di natura economica, palesi e occulte, nuove progettualità come la già citata BRI, il sostegno ai BRICS e l’orizzonte della SCO, tutti contesti finalizzati a costruire una multipolarità di schemi e interessi”.

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“Il paese gode oggi di una piena stabilità politica e sociale. Eppure non mancano coloro che abbracciano una visione catastrofista, paragonando la Cina a un treno ad alta velocità che potrebbe deragliare in ogni momento. Secondo tale rappresentazione, le cause sarebbero svariate:
• una profonda crisi economica che comprometta i traguardi raggiunti, provocando sovvertimenti politici o sociali
• una crisi politica interna, generata dal basso o provocata dai vertice
• un conflitto a causa di Taiwan o per le isole nel Mar Cinese Meridionale
• il rischio di tensioni in Asia Centrale o un potenziale conflitto con il Giappone”.

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“Per Pechino il solo paese che sul piano politico conti davvero sono gli Stati Uniti d’America, con cui sinora costi e benefici reciproci hanno trovato un buon equilibrio. Nei riguardi di Washington la dirigenza cinese è assai attenta, persino nel linguaggio, evita di enfatizzare i punti di attrito e mostra sempre disponibilità al compromesso, accentuando i vantaggi reciproci, pur senza sorvolare sulle differenze istituzionali, politiche ed economiche, e ispirandosi alla costruzione di un multipolarismo antiegemonico, economico e politico”.

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“Se questo è lo scenario strategico, in America (amministrazione, mondo accademico, società), il giudizio sulla Cina si intreccia con i benefici attesi o i pericoli paventati di chi vi ha a che fare. I cittadini delle due nazioni poi nutrono compositi sentimenti di reciproca attrazione-repulsione. Qualche frizione sarà inevitabile20, persino pesante, come il contenzioso commerciale, ma tra queste non ve n’è alcuna che non possa trovare un punto di conciliazione”.

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“La politica di apertura di Deng negli anni Ottanta aveva due pilastri, una graduale liberalizzazione economica e il mantenimento del controllo politico attraverso il Partito unico. L’introduzione di dosi di liberismo dirigista, che i cinesi hanno battezzato con l’ossimoro di economia socialista di mercato, in Occidente fu da molti salutata come il primo passo verso l’inevitabile approdo nell’alveo delle democrazie liberali. L’esperienza ha invece confermato l’azzardo di ogni previsione, poiché il liberismo economico a variante cinese prospera senza diventare liberal-democratico, smentendo la teoria dell’inevitabilità teleologica delle istituzioni economiche e politiche contemporanee”.

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“La teoria secondo la quale l’abbattimento delle barriere alla libera circolazione di capitali, merci e servizi si risolve in un beneficio per tutti non è altro che ideologia del libero mercato, e come tutte le ideologie tende a negare allo stesso tempo la logica e l’evidenza empirica”.

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“La Cina è appagata dalle relazioni economiche con l’Italia, e lavora al mantenimento di un sistema di rapporti oggi quanto mai favorevole ai suoi interessi. Pechino guarda poi all’Unione Europea – alla quale i trattati hanno devoluto la competenza della politica commerciale, sottraendola ai singoli paesi – puntando a ulteriori traguardi. Con l’UE la Cina sta da tempo negoziando un accordo su investimenti e accesso al mercato al quale potrebbe far seguito in futuro un secondo accordo di libero scambio ancora più insidioso per gli interessi italiani. Si tratta di negoziati nei quali è auspicabile che sia la Cina che l’UE tengano conto degli interessi di tutti, in particolare dei paesi del Sud Europa, più concentrati sulla manifattura e la piccola industria, e che questi ultimi facciano adeguatamente sentire la loro voce”.

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“Sotto la superficie nel non detto, nell’animo di esponenti di governo e del Partito, di accademici, studiosi di Europa/Italia e uomini d’affari alberga un’immagine dell’Italia che non è quella che emerge nei comunicati o negli incontri ufficiali. Non tragga in inganno la terminologia seduttiva alla quale fa ricorso in tali occasioni la parte cinese, che tende a enfatizzare lo spirito di cooperazione, i comuni interessi, la grandezza delle due antiche civiltà o un’amicizia che si perde nella notte dei tempi. Si tratta solo di buona educazione”.

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“La Cina è geopoliticamente tranquilla, protetta nelle sue frontiere, geoeconomicamente appagata della sua ascesa e geoculturalmente sicura di sé, con una consapevolezza del potere del suo soft power in graduale ascesa ovunque nel mondo. È con questi solidi lineamenti che la Repubblica Popolare si affaccia oggi al confronto con un’Europa in profonda crisi d’identità”.

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“L’Europa vive a sua volta un’anacronistica percezione di eurocentrismo, ancorata al suo prestigioso passato e guidata da leader politici di scarso spessore, che ignorano le lezioni della storia: anche gli imperi considerati intramontabili sono stati spazzati via perché incapaci di rinnovarsi, mentre il benessere raggiunto, specie in alcuni paesi europei, non deve intendersi acquisito per sempre”.

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“Durante lo storico viaggio nel Sud del 1992, Deng Xiaoping aveva spronato i suoi compatrioti a stringere i denti, continuare a crescere e ad aprirsi al mondo, mantenendo saldi i principi socialisti. Tornato a Pechino, prima di ritirarsi definitivamente a vita privata, egli aveva dato le ultime indicazioni: «Osservare con attenzione; consolidare la posizione, affrontare con calma i problemi, nascondere le qualità e aspettare il momento opportuno, mantenere un basso profilo, non dimenticare mai la leadership del Partito», poiché «le truppe nemiche sono assiepate fuori le mura e sono più forti di noi; dobbiamo rimanere principalmente sulla difensiva»”.