Cosa offrire al nuovo turismo cinese?

di Michelangelo Cocco pubblicato il 28/09/16

 

Il turismo cinese all'estero sta vivendo un vero e proprio boom, ma l'Europa, e l'Italia, non sanno approfittarne. È questa una delle indicazioni del rapporto congiunto recentemente pubblicato dalla China Tourism Academy e da da UnionPay International. Per fare il punto su quello che il nostro paese potrebbe fare per attrarre più visitatori dalla Cina e per fornire loro un'accoglienza migliore abbiamo intervistato il professor Paolo De Troia, ricercatore di Filologia Cinese e Lingua e Traduzione Cinese presso il Dipartimento di Studi Orientali della Sapienza Università di Roma. De Troia - tra i soci del Centro Studi sulla Cina Contemporanea - è specializzato sulla cultura gastronomica cinese e ha contribuito, tra l'altro, con un saggio ("Yuan Mei, un celebre gastonomo cinese del XVIII secolo") alla redazione del numero 13  (Una ciotola di riso, cibo e cultura tra Italia e Cina) della rivista Sulla via del Catai.

 

Professor De Troia, il report China Tourism Academy/UnionPay rileva che i turisti cinesi preferiscono anzitutto mete asiatiche, ma anche gli Usa. L'Europa e l'Italia sono invece per loro destinazioni secondarie. Perché?

Le mete asiatiche sono le più gettonate anzitutto per ovvie ragioni di vicinanza geografica: sono più facilmente raggiungibili, arrivarci è più economico. Ma conta anche la vicinanza culturale. Per noi può essere più “naturale” viaggiare in Europa piuttosto che in Asia, per i cinesi è vero il contrario. Gli Stati Uniti in questo senso rappresentano un'eccezione, per la posizione dominante che hanno assunto da un punto di vista economico, politico e della cultura di massa. Il “mito dell'America” c'è da noi, ma anche tra i cinesi. Ma a spingere questi ultimi soprattutto verso l'Asia sono anche le politiche di accoglienza, molto più avanzate che in Europa. Ad esempio, l'aeroporto di Phuket, in Thailandia, è letteralmente invaso dai turisti cinesi, il loro numero è balzato da 4 a 8 milioni tra il 2013 e il 2016. Lì la segnaletica è anche in cinese, gli annunci vengono dati prima in mandarino che in thailandese.
Un altro aspetto importante da non trascurare è quello della sicurezza e della sua percezione.
Sarebbe importante riuscire a sensibilizzare il mondo del turismo sulla cura e l’attenzione che bisogna riservare agli ospiti asiatici, spesso oggetto di truffe, raggiri e quant’altro. Il caso dei turisti giapponesi che qualche anno fa che si videro presentare un conto di 600 euro per un pasto è emblematico, e la percezione della scarsa sicurezza nel nostro paese è abbastanza diffusa.

 

Quali sono le classi sociali protagoniste del boom del turismo cinese verso l'estero e cosa cercano nei paesi nei quali si recano?

Dopo la politica di "Riforme e apertura", a partire dai primi anni Novanta, abbiamo visto anzitutto piccoli gruppi di cinesi autorizzati, in visita di lavoro/business alla quale "agganciavano" visite turistiche. Ora siamo passati a un turismo di masssa, trainato da una classe media che ha un reddito e un potere d'acquisto in molti casi superiori a quelli della classe media italiana. E, contrariamente a quanto si possa pensare, sono aumentati a dismisura i viaggi individuali.

Il viaggiatore cinese – rispetto a quello di altre nazionalità – mediamente compra di più e spende di più. I cinesi vogliono un'esperienza a tutto tondo: visitare, conoscere il patrimonio artistico e storico, e sono molto interessati alla produzione locale, da tutti i punti di vista. Per quanto riguarda l'Italia, sicuramente ai marchi del lusso (outlet, negozi spacci di aziende che hanno un nome, una diffusione del brand in Cina) e anche all'enogastronomia, fino a qualche anno fa un prodotto impensabile da un punto di vista del marketing turistico, che adesso invece sta diventando preponderante.

 

Lo studio, commissionato da UnionPay (e dunque non imparziale) suggerisce che la disponibilità del sistema di pagamento cinese svolga un ruolo fondamentale nella scelta della destinazione turistica.

Lo studio certamente non è imparziale. Detto questo, nelle metropoli cinesi – i luoghi dove questa classe media protagonista del boom turistico vive e lavora – dal taxi, al ristorante, all'albergo, tutto viene pagato con sistemi elettronici semplificati gestiti da app per smartphone. Perfino le bevande dei distributori nelle metropolitane possono essere acquistate con wechat, dal telefonino. Dunque è naturale che gli spostamenti di piacere all'estero vengano decisi anche in base a questo fattore. Se un turista cinese potesse arrivare all'aeroporto di Fiumicino e trovare e pagare il taxi con lo smartphone, utilizzando il suo conto corrente cinese, individuare e raggiungere l'hotel attraverso una app in cinese, saldare il conto e prenotare il ristorante utilizzando wechat, tutto ciò rappresenterebbe ovviamente un incentivo notevole al flusso di turisti. Non bisogna dimenticare che per i cinesi acquistare prodotti su Taobao e vederseli recapitare a casa dopo due ore, rappresenta ormai la quotidianità.

 

Capitolo visti, altro elemento considerato dal report decisivo nella scelta della meta da parte dei turisti cinesi... 

Quello dei visti turistici è un ambito nel quale l'Italia si sta muovendo bene. A partire dal 2014 e poi con l'Expo sono state introdotte procedure semplificate per l'ottenimento dei visti da parte dei cittadini cinesi, anche attraverso i consolati, senza passare per l'ufficio centrale, in Cina ci sono ormai molti centri dove un cinese può richiedere il visto per l'Italia e le procedure burocratiche sono state semplificate. Da parte del ministero degli Esteri, dell'Ambasciata italiana a Pechino e dei nostri consolati in Cina c'è grande consapevolezza dell'importanza del flusso dei viaggiatori cinesi nel nostro paese.

 

Il turismo di massa spesso modifica paesaggi, stravolge abitudini, e risulta esposto a variabili (geopolitiche e altre) difficilmente controllabili… che tipo di turismo sostenibile si potrebbe sviluppare con i cinesi in Italia?

A mio avviso è possibile lavorare su questi flussi sempre più vasti e imponenti, cercando di ricavarne una ricaduta positiva per il sistema Italia e per il lavoro. Quello per i cinesi dovrebbe diventare un turismo più differenziato, più legato alle piccole realtà locali. I cinesi sono molto interessati al discorso enogastronomico, ma in Italia c'è ancora poca formazione verso questo tipo di approccio. Abbiamo un'enorme potenzialità. Si potrebbe dar vita a progetti che aiutino le piccole realtà locali a intercettare il turista cinese. Creare un coordinamento nazionale che, da un lato, funga da collante per tutte le politiche sul turismo, fornendo linee guida su come si accolgono i turisti cinesi e, dall'altro, lavori anche sul dettaglio, sul particolare, nelle regioni e nelle province, nei comuni, per individuare punti di forza ed eccellenze da poter proporre in maniera organica al mercato cinese. Sono cose che, in parte, si stanno iniziando a fare, ma vanno potenziate e coordinate. Ad esempio sul nostro turismo estivo c'è poca offerta diretta ai cinesi: i tour operator, le agenzie offrono poco: ritorniamo al problema dell'accessibilità dei pagamenti, della lingua... di cui parlavamo prima.

Bisogna lavorare sulla comunicazione, trovare il modo di far conoscere al turismo cinese le piccole reltà del turismo locale italiano. Il discorso sul cibo ritengo sia fondamentale: l'Italia e la Cina hanno tradizioni gastronomiche millenarie e ricchissime, e il turista cinese è “naturalmente” interessato a scoprire la ricchezza dell'enogastronimia del paese che visita. Abbiamo la fortuna di avere un nome, un brand, già molto forte in questo settore, dobbiamo valorizzarlo di più con piccoli progetti locali: portare i turisti a visitare aziende che fanno prodotti tipici, vino eccetera.